| Inis Mór era un piccolo isolotto antico a pochi km dalla costa. Ormai abbandonato da secoli, i suoi unici abitanti erano gli uccelli e le onde che si infrangevano sugli scogli. Alba l'aveva raggiunto in volo, ovviamente. Atterrò su un cumulo di macerie che un tempo costituiva, immaginò, il muro esterno del vecchio castello e si sedette con le gambe a penzoloni. Non era mai stata lì prima d'ora e quel luogo aveva qualcosa in sè di veramente affascinante, di magico e surreale, quasi fosse sprofondato in un'epoca tutta sua, completamente distante dalle macchine e dalle luci delle insegne a pochi km di distanza. Il silenzio l'avvolgeva, rotto soltanto dal rumore del mare e dallo starnazzare dei corvi che volavano alti nel cielo, suoi amici. Non si sarebbe detto che quello un tempo fosse un meraviglioso castello colmo di vita e di ricchezze: non erano rimasti che cumuli di rocce e pietre rossicce, alcuni muri erano stati dipinti dai vandali e in un angolo si potevano notare i resti di un recente falò. Eppure, tutta quella decadenza e quella desolazione era affascinante. Era selvaggia. Era la natura che aveva preso possesso del castello, era l'edera che si era arrampicata con noncuranza sull'unica torre ancora in piedi, era l'erba cresciuta un po' ovunque, ed erano fiori selvatici dai colori sgargianti che spuntavano tra i mattoni. Alba era giunta fin lì con uno scopo preciso, e non era certo osservare i sassi. Si alzò e ritrasse le magnifiche ali dentro la schiena. Dalla borsa a tracolla di pelle estrasse una vecchia macchina fotografica a rullini. Aveva almeno 50 anni ed era una vera rarità per collezionisti ed Alba era una di loro. Nella sua casa "per umani" dove accoglieva clienti e conoscenti senza le ali aveva una vera e propria collezione da intenditori, nonchè una camera oscura, ovviamente. Non avrebbe mai lasciato i suoi negativi nelle mani di sconosciuti. Sorridendo, iniziò a scattare. Fotografava con molta calma e dedizione, immergendosi nell'ambiente a lei circostante. Fotografava i fiori impigliati tra le rocce, i cumuli di mattoni pericolanti, la vecchia torre a picco sul mare. Di tanto in tanto, un corvo le passava vicino, quasi a voler salutare L'Astris Sanctum. Ma loro non amavano farsi immortalare, così l'angelo li lasciò in pace. Il rullino terminò. Alba ripose con soddisfazione la Nikon nella borsa: il cliente sarebbe stato sicuramente soddisfatto del quadro per il salotto che le aveva commissionato. Una folata leggera di vento le scompigliò i capelli, e sorrise. Il vento era il suo elemento, suo amico e messaggero. Spesso aveva fiutato, in passato, pericoli e insidie nell'aria ma ora aveva la certezza che tutto stesse andando meglio. Nessuno dei suoi Reatha era in pericolo in quel momento, e nemmeno il suo protectum. Poteva concedersi un, raro, momento di relax tutto per lei. Si addentrò nella sterpaglia fino a raggiungere la cresta della collina, che terminava a picco sul mare. Era uno spettacolo da togliere il fiato a quell'ora del giorno, con il sole che sembrava una grossa palla gialla. Erano circa le 15. Spiegò le ali, meravigliose piume rosse e oro e si gettò giù dalla collina, planando solo a pochi centimetri dall'acqua, alcuni spruzzi sul viso. Fenice degna di quella definizione, volò per alcuni minuti per poi sedersi su una roccia a bordo del mare, proprio ai piedi della collina. C'era una striscia sottilissima di sassi e sabbia laggiù, e un sentiero troppo irto per un umano per tornare alle rovine. La lunga veste rossa le fasciava il corpo e finiva svolazzando ai suoi piedi, umida in alcuni punti. La borsa era ancora stretta al suo corpo, intatta. Il Reatha dal piumaggio fiammeggiante chiuse gli occhi per un secondo, beandosi di quella sensazione positiva che permeava le sue membra.
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