Il sole calava su un altro giorno di Galway e si immergeva poco lontano, nel Mare d’Irlanda. Dai cottages, che non distavano molto dalla spiaggia, era possibile ammirare i meravigliosi colori del cielo al tramonto.
L’aria si stava rinfrescando, constatò Siorai, perciò decise di entrare in casa. Il su cottage era come tanti altri all’esterno, muro bianco e squadrato tetto grigio, ma all’interno…forse non lo si poteva definire “normale”.
D’altronde, era organizzato in stile “Chiyo”.
La strega si stiracchiò allegramente, mentre si avviava sul sentierino di ciottoli. La sua casa era sì simile alle altre, ma era distante da esse, era più vicina alla scogliera, sotto le cui rocce si estendeva la spiaggia, e per questo era spesso sferzata dal vento dell’oceano Atlantico. E Siorai amava il vento.
Abbassò la maniglia; entrando, si tolse le scarpe con un agile calcio e le abbandonò accanto all'entrata. Quindi si arrampicò sul muretto alla sua sinistra.
Perdonate l'orrore...con paint non sono riuscita a fare di meglio
Una delle tante stranezze di quella casa era la presenza di tutti quei superflui muretti dalla marmorea superficie grigia, che quasi dividevano l’ampio soggiorno. Chiyo adorava salirci sopra e camminare lassù anziché sul pavimento come ogni persona normale.
Ma tanto Chiyo non era normale.
Si stiracchiò di nuovo, godendosi soddisfatta la vista del salotto dalla sua posizione sopra elevata: da lì vedeva tutta la stanza. Sotto di lei, per cominciare, alla sua sinistra c'era un divano lungo, morbido, cosparso di cuscini, che affollavano anche il pavimento coperto dal tappeto. Un'altra particolarità di quella casa era la grande quantità di tappeti che quasi impedivano di scorgere, al di sotto di essi, le piastrelle bianche del pavimento.
Di fronte al divano una TV a schermo piatto, non molto grande, faceva la sua bella figura nello scompartimento apposito di una credenza. Dalla parte opposta, ovvero alle sue spalle, il corridoio d’entrata continuava per altri tre metri, per poi terminare con una botola, nascosta da uno dei tanti tappeti. Sotto quella botola c’era una scala, e con essa un passaggio segreto per la scogliera, una minuscola caverna al livello del mare raggiungibile solo grazie a quel passaggio; lì c’era una piccola barca che Siorai usava quando doveva andare ai ritrovi della sua Razza, la notte. Insomma, si può dire che quella caverna era un po’ come il suo “garage”…
Chiyo proseguì, svoltando a sinistra alla biforcazione del muretto: di fronte a sé poteva osservare l'angolo cottura, una bella cucina a vista con i mobili in legno chiaro e le superfici in marmo. Davanti al bancone c’era una sedia alta, come quelle dei bar, ed era quella che Siorai usava per fare colazione. Appena sveglia, aveva voglia solo di quella, quindi era giusto che la scala, che portava alla camera da letto, appunto, e alle altre stanze di sopra, terminasse davanti alla seggiola, no?
Come chiunque avrebbe fatto caso, non c’era nessun tavolo. Infatti Siorai non lo usava: preferiva mangiare stando seduta sul muretto o al bancone della cucina. Nel vecchio appartamento di New York lo aveva, ma le sedie erano costantemente ribaltate a gambe all’aria. Chiyo rise del proprio disordine: ogni volta che soffiava vento spalancava tutte le finestre, così che tutto ciò che era in piedi veniva inevitabilmente capovolto o scaraventato a terra, ma lei non si preoccupava mai di rimettere le cose al loro posto. Lo faceva anche qua a Galway: amava spalancare la grande porta finestra ad angolo, che aveva una bellissima visuale sul prato incolto e sulla scogliera. Questa volta però aveva pensato bene di non comprare nessun tavolo.
Si fermò, indecisa sul da farsi. Mangiare adesso o più tardi? Mmmm. Meglio più tardi, forse.
Tornò indietro e fece un tranquillo, agile salto verso sinistra, atterrando sull’altro muretto, quello che delimitava la cuccetta del suo animale domestico. È chiaro che Chiyo non potesse avere un comunissimo gatto, per il semplice fatto che lei era Chiyo. Infatti aveva un leone. Balthazar, detto Bal. Era un leone di dimensioni piccole per la media, e le era stato donato da cucciolo da una tribù indigena dell’Africa. Era “magico” ma solo perché poteva sopportare qualsiasi temperatura, altrimenti in Irlanda non sarebbe sopravvissuto a lungo. Nel suo angolo, Siorai aveva concentrato numerosi cuscini, un paio di materassi e un tronco da mordere e graffiare. Il suo spazio si apriva sulla porta finestra, così Bal poteva uscire quando voleva. Siorai si avvicinò cauta: sotto di lei, chiuso tra tre muretti e il muro, Bal dormiva della grossa, raggomitolato su se stesso. Si concesse un sorriso intenerito mentre gli grattava dietro le orecchie e gli accarezzava la folta criniera, quindi si rialzò e scese dal muretto, dirigendosi verso la scala. Sbucò al piano di sopra, davanti al suo piccolo piano. Si accorse subito che doveva già accendere le luci: quell’angolo della casa era sempre illuminato, di giorno, perché era accanto al grande finestrone che dava sul balcone, ma adesso, col sole tramontato, si faceva già fatica a vedere. Tuttavia
alla strega piaceva quell'oscurità: voltandosi, le sembrò quasi che il corridoio fosse più lungo, anche se lei lo conosceva bene: a sinistra c'era la porta del bagno, dotato anch'esso di un muretto per dividere la vasca idromassaggio dal resto del bagno.
Più avanti, invece...
...Non c'erano finestre ed era completamente buio, ma Siorai sapeva che in fondo, svoltando a sinistra, avrebbe trovato la scala che portava alla sua soffitta, e più avanti, ancora a sinistra, un vicolo cieco se non per gli occhi di chi quel posto lo conosceva davvero come le proprie tasche: una finestra, praticamente invisibile al buio, coperta da una tendina nera, si affacciava sopra un muretto che non aveva nessun altro scopo se non quello di permettere di raggiungere la finestra stessa.
Pensandoci, Siorai non poté fare a meno di sorridere con un ghigno. Il suo Antro. Un'occhiata non gliela negava nessuno. A dir la verità, faceva fatica a starci lontana quando era in casa.
Lo raggiunse in un attimo, sempre al buio, si arrampicò sul muretto e s’infilò nell’apertura della finestra. Si voltò quindi a fronteggiare quello che aveva l’aria di essere un piccolo studio, completamente diverso dal resto della casa: le piastrelle grigie, fredde e di pietra, erano dolcemente illuminate dal fuocherello che, ancora acceso, ardeva nel caminetto sulla destra.
Accanto ad esso, nel muro, l'unica finestra era dotata di sbarre; di fronte alla finestra stava una poltrona di velluto rosso con un tavolino da tè. Chiyo scese dal muretto, godendosi il calore del fuoco e l'odore della carta e dell'incenso; si voltò un attimo a sinistra, osservando i tomi polverosi di magia raccolti nella libreria in legno scuro, e sospirò. Prima di andare a dormire, se ne sarebbe letta volentieri un paio.
Ma perché il caminetto era acceso?
Si voltò dall'altra parte: il calderone nero si ergeva sopra uno degli scaffali, accanto a diverse fialette, dunque nulla stava bollendo; il caminetto non aveva motivo di stare acceso.
La sua solita sbadataggine.
Avanzò di qualche passo, sostando un momento accanto alla sua scrivania di ebano nero, accarezzandone la superficie polverosa con un gesto affettuoso. Spense il fuoco, non voleva sprecare troppa legna, poi decise di andare in soffitta a controllare che ce ne fosse ancora. Così uscì dal suo antro e salì le scale in fondo al corridoio. La sua testolina bionda sbucò dal pavimento in travi di legno della soffitta.
Si issò fuori e si guardò intorno, nel buio completo. Dov'erano i tronchetti? Sapeva che davanti a lei, su un tappeto circolare, c'era il tavolino rotondo per la sfera di cristallo con davanti un pouff di velluto rosso, e che, disposti in ordine lungo il lato lungo della stanza, quattro scaffali mettevano in mostra una raccolta di pietre, cristalli, incensi e pozioni complete; accanto all'ultimo, si ergeva silenzioso e inquietante un vecchio armadio nero, dove aveva deciso di custodire i suoi...ehm, souvenir di battaglia.
Nell'angolino tra l'armadio e lo scaffale, c'erano i tronchetti ammonticchiati uno sull'altro in ordine sparso.
Mmm, per un paio di giorni basteranno, poi dovrò andare a raccoglierne un po', valutò pensierosa.
Tornò verso la botola, ma passando accanto ai cassettoni soffiò via la polvere dai cristalli e raccolse quattro bastoncini d'incenso.
Quindi ridiscese le scale e si diresse verso la camera, cioè l'ultima stanza del corridoio.
La
sua camera. Unica nel suo genere.
Se non si era abituati alle stranezze di Chiyo, al primo impatto si poteva un po' rimanere pietrificati dalla perplessità e cominciare a porsi domande inutili del tipo: “Dov'è il pavimento? O perché il letto sembra Moby Dick? E perché ci sono così tanti cuscini sparsi a terra?”
Sì, ecco, insomma, un po' tanto perplessi.
Il pavimento, ad ogni modo, era totalmente coperto dai numerosi tappeti azzurri, rosa e blu, e al centro della stanza sostava sornione un letto enorme, dal morbido piumone blu e bianco e dall'aria molto, molto soffice; una persona non abituata a dormirci sopra avrebbe potuto venirne risucchiata! Di fronte al letto c'era il secondo camino della casa. Il tappeto lì davanti era cosparso di cuscini colorati.
Finalmente!
Non sapeva dire perché, ma era stanca e aveva solo voglia di riposare. Prese dal comodino un porta-incenso, dove incastrò il primo dei bastoncini che teneva in mano. Lo accese facendo scorrere una scintilla di elettricità sul dito. Respirò contenta la prima sbuffata di fumo al sandalo, quindi accese il caminetto con lo stesso procedimento.
Poi, soddisfatta, si buttò sul letto e si addormentò.
Edited by Eredel - 12/2/2012, 00:14