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»I Sette Scalini., Cripta delle Anime

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»Littli.
view post Posted on 16/4/2009, 17:47




Primo scalino.
Polvere, lacrime, terra e macerie. Lacrime di polvere, macerie di terra. Briciole di uomini defunti, resti di donne assassinati. Scheletri di capelli bruciati dal tempo e dal sole. Sole? Dove, cosa? Sole grigio, sole logoro. Sole per i morti, raggi di cenere. Ossa frantumate, dita rotte, corpi distrutti. Questo, questo anche tu sarai. Prima o poi.
Secondo scalino.
Morte. Urla, dolore, sofferenza. Grida acute, stridii di denti, dolore liquido nelle vene. Clangore di spade e di armature, mugolii sommessi, nitriti di cavalli. Grandi battaglie; grandi stermini? E' questo, questo il destino dell'umanità? Elmetti rotolati via, giù per gli scalini, lungo la via, via via, per sempre e mai ritrovati. Teste mozzate, corpi recisi.
Terzo scalino.
Inferno. Fuoco, fiamme, lance, urla. Bagliori rossi, calore ardente, troppo ardente. Strazio. Punizioni eterne, dolori eterni. Tristezza, dolore, troppo. Sogni infranti. Destini spezzati in un secondo, con una semplice scelta. Prigioni per i corpi, fatte di sbarre arroventate come non mai e giacigli di niente Libertà? Mai, nemmeno un'ora. Prigione per le menti, impossibile sfuggire, impossibile scappare e sgusciare via.
Quarto scalino.
Destino. Dio? Buddha? Jahvè? Il Dalai Lama? No, no, no. E allora chi? Cosa? Perché mai? Destino irreversibile, destino immutabile? Prendi una penna dorata, apri un libro antico e incidi con sangue ciò che vuoi sarà. Non barare. Col tuo sangue, non con quello della tua ultima vittima. E smettila, smettila di dire che il destino è in mano agli uomini. Nessuno ne può cambiare il corso. Il destino è in mano a se stesso. E' bastardo e si prende gioco di noi, di voi, di te, anche di me.
Quinto scalino.
Sei quasi in cima. Sai cosa c'è in cima? Un bel niente, niente. Niente di niente. Il vuoto assoluto. E allora perché stai salendo? Perché ti affanni a scalare questi sette scalini? Ah lo so. Perché ti ho indotto io, non è vero? Perché ti ho ingannata, ecco perché. Sono stato bravo, lo so. Io sono sempre bravo. Ottengo sempre il mio scopo. Tu no. Tu non ottieni nulla, ne ora ne mai. Tu non sei nessuno cosa vuoi ottenere? Solo io posso. Io con i miei tranelli psicologici e tu no, tu con la tua mente disfatta.
Sesto gradino.
Limbo. A un passo dalla vittoria, a un passo dalla dannazione. Né viva, né morta. Né cosciente, né incosciente. Divertente? No, dici? Ondeggia, ondeggia. Galleggia nel vuoto, galleggia nella tua mente, privo di arbitrio. Non puoi decidere. Non puoi controllare il tuo corpo e i tuoi movimenti. Io invece posso, lo sai? Sei un burattino ora. Sei il mio burattino preferito. Posso picchiarti con le tue stesse mani. Posso farti fare cose terribili e imbarazzanti. Posso. Posso, ricordatelo!
Settimo gradino.
Paradiso. Complimenti. Sei arrivata. Credi di aver vinto tu e sei felice. Beati, beati della tua felicità. Godine finché non ti renderai conto che era solo uno specchietto per le allodole. Beatitudine. Santi e santini. Acqua santa. Chiese e incensi. Candele. Ci credevi? Credi di averle ottenute? Credilo. Complimenti. Vuoi un applauso? Non lo avrai, non da me. Va, va pure dove credi. Incontra pure quel Dio che pensi esista, ma sul suo trono non troverai nessuno. Troverai solo me e non potrai impedirmi di riderti in faccia, disgraziata.
Porta.
Stupida, stolta, snaturata, che fai? Osi aprire la porta della mia cripta? Osi entrare nella mia chiesa? Osi invadere con il tuo sudicio corpo al mia terra santa? Fallo, ma si, fallo pure. Sarà solo un piacere bruciarti nelle fiamme insieme a tutti gli altri.
Non aprire quella porta. E' un avvertimento che ovviamente non ascolterai. Aprila allora, ecco cosa ti dico. Fottiti. Ucciditi pure, ma poi non venirmi a dire che io non te l'avevo detto. Non venire da me a piagnucolare e chiedere pietà!
Lascia ogni speranza, oh tu che entri.


Edited by »Littli. - 18/4/2009, 18:33
 
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view post Posted on 18/4/2009, 16:31
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Una lacrima.
Passa insicura un dito sopra la guancia e lo osserva sorpresa.
Ho sempre creduto che il pianto fosse qualcosa di freddo. Come il dolore. E invece è caldo.
E’ bollente.
, si corregge sentendo stringersi il nodo in gola.
Quello che è freddo è al di fuori di lei. E’ l’aria gravida e nebulosa del cimitero.
Ma non solo lì. Il freddo è ovunque, dietro ogni persona il cui sorriso non arriva mai fino agli occhi. Si nasconde in luoghi dove credi faccia molto caldo. Odiose falsità, che ti raggiungono anche quando tu non stai dando altro che te stessa!
Ha provato ad osservare il mondo, senza fare nulla. Si è guardata intorno senza nessun desiderio, per una volta, di ingannare le persone. Senza il desiderio di fare nulla.
Ha guardato e basta. Il cuore come l’unica cosa viva in un mare di gelide lapidi. Non c’è tanta differenza da dove si trova ora. Il suo respiro l’unico suono che parlava con lei. Lei, piccolo punto immobile nell’onda di gente che vive e non sa; una statua silenziosa, paradossalmente più viva di tutti gli esseri umani che le passano di fianco, senza notarla, senza vederla nemmeno.
Basta!
Si piega sulle ginocchia, stringendosi la testa tra le mani, sopraffatta dal dolore dei ricordi.
Un’altra lacrima le solca la guancia.
E’ fuggita da quelle persone senza vita. E’ fuggita correndo via, senza nemmeno guardare dove stesse andando.
E’ forse ironia che si sia ritrovata in un cimitero?
Almeno qui nessuno ti fissa senza vederti davvero. Gli sguardi mi attraversano vuoti, come se io non fossi qui. Non ho la forza di ricambiarli, ho paura che se guardano troppo a fondo riescano a vedere la mia anima.
La realtà è che lei per prima ha paura di vedere la sua anima. Ha paura di quello che potrebbe trovarci, ha paura di vedere tutto quello che crede di essere infrangersi davanti ai suoi occhi.
Ha paura delle persone da cui è fuggita. In quel momento ha saputo di essere diversa.
Perché io non sono “la gente”. Io... Io sono io. Non posso essere niente altro. Non posso cambiare. Sono un individuo.
L’idea la spaventa, non meno del resto. La parola implica solitudine.
Siamo soli, in questo mondo. Ognuno è una piccola stella che ruota su se stessa, che solo per caso si trova nello stesso universo delle altre.
Alcune stelle si spengono prima. Perdono la loro luce, diventando sassi vaganti nello spazio, si uniscono alle altre scie di meteore e ripercorrono strade sempre uguali, per cadere poi sulla terra… La loro esistenza perde di senso.
Che può fare uno, per mantenersi vivo? Si tiene lontano da quelle persone, segue una rotta tutta sua. Tuttavia capita che anche una stella cada, e allora prova il paradosso: com’è che si prova più solitudine in mezzo agli altri che quando si è da soli in mezzo al niente? Piccola stella senza cielo, la tua è l’unica luce che brilla in mezzo alla massa tutta uguale di roccia e apparenza.
Ma una stella non è immortale. Prima o poi esploderà.
In tutto il suo dolore, da sola.
Un singhiozzo la scuote, spingendole fuori dagli occhi un’altra lacrima. Fino a quando sarà in grado di vivere?
Ripensa alle persone che ha ucciso. Una sensazione fredda, un brivido, le abbraccia le spalle.
Il mondo continua a scorrere, dopo la morte di chiunque. Continua a girare, e non cambia mai.
La tua esistenza serve a qualcosa? Perché se muori non crolla nient’altro?
Incapace di trattenere una quarta lacrima, alza gli occhi verso il cielo. E’ coperto da una bruma sottile, la nebbia rende invisibile la notte e la inghiotte.
Sposta lo sguardo più giù: sul sentiero davanti a lei, una cripta bianca.
Com’è essere morti?
Quasi senza accorgersene, giunge fino davanti al primo gradino. Esita.
Alza un piede e lo appoggia delicata sul marmo bianco.
Non c’è un altro posto dove andare. A casa, che senso ha? Che senso ha, se è vuota? Se l’unica persona in grado di riempirla sono io, e io sono fuori?
Strani ragionamenti, che la portano fino al secondo gradino.
Il silenzio sussurra canzoni tristi, mescolate al vento freddo sulla quinta, bollente lacrima.
Dov’è il mio cielo? Dov’è il mio posto?
Terzo gradino.
Non ha mai pianto, non versa una lacrima da ottantacinque anni.
Questo dolore riporta tutto a galla. Ma i ricordi di quella notte rimangono celati da un’altra me stessa. Se li guardassi adesso, morirei di dolore? Esploderei, lasciando che sia la mia stessa elettricità a bruciarmi?
Il suo potere, la sua luce, causa della sua morte. Un sorriso ironico e triste le attraversa il volto, fino a che non poggia il piede sul quarto gradino.
Ne mancano tre. Ho appena passato la metà. Si può tornare indietro, dopo aver già fatto metà cammino? No. Se anche io lo volessi, non potrei mai. Non si ripassa mai dal via in questo viaggio.
Una lacrima, un passo, un altro gradino.
Chi decide allora il mio destino? Siamo tutti appesi a un filo,e prima o poi il filo si spezzerà, perché andiamo troppo veloce. Siamo tutti entrati in un labirinto di porte, dove una porta attraversata è una porta che si chiude alle tue spalle.
Sesto gradino.
Si ferma.
Che ci faccio in mezzo al mondo?In mezzo a tutti questi individui?Cosa cercherebbe la gente da me, sapendo che la mia luce non è eterna, sapendo che finirò in polvere come le ossa che giacciono in questa cripta?
Cerca di trattenersi, ma non può evitare che una lacrima bagni il marmo sotto i suoi piedi.
Allora ricomincia a salire, e questo è l’ultimo gradino.
Sette gradini, sette lacrime ha versato. Come la triste replica di una vecchia favola, ora attende una risposta a una domanda che non conosce.
La porta è già socchiusa.
Non sa se la verità la attenderà lì dentro. Non sa se troverà freddo, o calore, solitudine o compagnia. Non sa se se la porta si chiuderà alle sue spalle dopo la sua scelta, ma non può tornare indietro.
Il filo prima o poi si spezzerà, ma lei non sa quando.
Tanto vale non sprecare altro tempo., si dice, mentre varca la soglia.

Edited by Eredel - 19/4/2009, 17:42
 
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»Littli.
view post Posted on 18/4/2009, 17:30




Ora che sei entrata? Sei contenta, stupida ragazzina? Ma si, fa pure, ancora. Brucia. Bruciati da sola. Che le fiamme irrorino il tuo petto e infiammino la tua gola fino che non sarai tu stessa a invocare la morte e a pregarmi affinché io ti uccida. Io. Ricordami. Io sono la luce e le tenebre. L'inizio e la fine. L'alba. E il tuo tramonto.
Ricorda. Ricordami.
Sarò per te ciò che tu sei stata per molti, troppi. Sarò per te il tuo tramonto. Quello a cui non seguono albe.

Chiuse gli occhi, stringendoli forte. Il cielo. Il cielo tornò sopra di lei, dentro di lei, colmando quel voto che si era creato. Il cielo sopra il cimitero, il cielo sopra la cripta. Il cielo non era cielo, ma neppure terra. Non sembrava aria, ma nemmeno acqua. Il cielo non era azzurro. Ma nemmeno nero. Di un colore grigio, inafferrabile. Grigio fuliggine? No. Grigio polvere? Nemmeno. Grigio topo? No, no, no. Era un grigio incomprensibile, un grigio rosato, ma nello stesso tempo azzurrino. Un grigio che raccoglieva tutti i colori dell'arcobaleno, senza contenerne in verità nessuno.
No, non sapeva qual'era il colore del cielo, così come non sapeva molte cose, forse troppe.
Un fulmine squarciò le nuvole, saettando dorato. Una scarica di energia si propagò nell'aria, quasi visibile. Uno schianto. Probabilmente, aveva abbattuto un albero poco lontano.
Riaprì gli occhi di scatto.
Flasshhhhhh.
La sua vista fu come abbagliata dall'improvviso cambio di luce e dovette sbattere gli occhi più volte, prima di abituarsi. L'oscurità l'avvolse, intrappolandola in una tela nera senza via di uscita. Inutile divincolarsi, inutile correre, mordere e strappare. La tela era troppo forte, troppo.

Vai via. Vai via.

Non seppe se le parole uscirono strozzate dalle sue labbra o rimasero intrappolate nella sua gola. Sapeva solo che quella voce dentro la sua testa era insopportabile, la tormentava, la opprimeva. La uccideva. Doveva librarsene. Scosse la testa con vigore, una cascata di fili neri nel vuoto. Non poteva lasciarsi dominare. Doveva combattere. Doveva vincere. Vincere. Sopravvivere, quella era l'unica vittoria ammessa in quella partita. O forse, non c'era vittoria. Forse era destinata a morire, a impazzire, a essere dannata per l'eternità.
AHAHAHAHAHAHAHAHAH.
Stupida, ingenua bambina. Mi faresti tenerezza, sai? Peccato che io non sappia che cos'è la tenerezza! Non ti libererai di me così facilmente, cosa credi? Mi hai voluto tu stessa, è inutile che cerchi di negarlo, mi hai voluto e desiderato. E io sono arrivato. Non sei felice ora, perché?
Combatti? Divincolati pure. Cosa credi di fare? Cosa? COSA?? Divincolati. Sfuggi. Sei solo un topo, e io sono il gatto, sfortunatamente. Ma non ti preoccupare. Ti è andata male questa volta, magari la prossima volta andrà meglio dolcezza.

Dolcezza? DOLCEZZA? Un impulso forte, più forte di qualsiasi catena, una rabbia che bruciava dentro, partendo dal cuore. Una rabbia che si allargò e crebbe sempre di più, fino a raggiungere il cervello e scoppiare.
Gemette e cadde a terra, finendo inginocchiata, accasciata, sul suolo ruvido e sudicio. Vedeva e non vedeva. Udiva e non udiva. Tentò di aggrapparsi. Con le mani, strusciandole sul suolo. Grattando con le unghie, come se cercasse di afferrare una zolla di terra a cui aggrapparsi per non essere trascinata giù, nel baratro. Le mani si insanguinarono presto, graffiando in più punti, le unghie si ruppero. Ma lei no, lei non sentiva niente. Nemmeno il dolore. Raschiava, si aggrappava, cercava di strisciare via, verso la porta. Tornare indietro, andare via, ecco al sua unica salvezza. Chi l'avrebbe portata fuori? Di sicuro non lui. Lui che la tirava saldamente, ancorandola in quella cripta.

Basta!

Basta? Non ne puoi più? Ti meriti tutto questo, meriti ciò e molto di più. Stai soffrendo? Guarda, guarda come hanno sofferto troppe persone a causa tua. Ricorda le vite che hai rovinato, le famiglie spezzate, gli animi distrutti. Ricorda. Ricorda me e anche loro. Mai dimenticare, dolcezza, mai.
Cercava di ribellarsi, la povera Alba. Cercava di sfuggire, ma era tremendamente difficile. Impossibile fuggire al destino. Il respiro della ragazza era denso e affannato, quasi rumoroso, nel silenzio della grotta. L'unico rumore, insieme al disperato suono del raschiare inutile delle sue unghie. Un rumore diverso, inaspettato. Un passo. Non ne era sicura, ma nella sua mente qualcosa si schiarì, lasciando spazio a uno sprazzo minuscolo di lucidità. Un altro passo. Qualcuno la stava venendo a prendere? Qualcuno voleva salvarla e portarla via da lì?
Si fermò, accasciandosi a terra, semi sdraiata, letteralmente accasciata, come se fosse stata gettata via. Proprio come quando Aion l'aveva quasi uccisa. Aion? Forse lui? Stava vendendo da lei? La porta si aprì, finalmente.
Alba alzò la testa, in uno sforzo sovrumano. I capelli ricadevano a ciocche contorte sul viso, coprendole parte degli occhi, ma questo non le impedì di osservare una figura. Tremante e piangente, entrava come se quella fosse la sua ultima speranza di salvezza, come se non avesse altro luogo in cui rifugiarsi, scelta obbligata.
La guardò, piena di speranza.
Una bambina?
Alba non disse niente. Rimase così, non sapendo cosa sarebbe successo, semplicemente osservandola in silenzio. Dopotutto, non avrebbe avuto la forza di parlare. Ma si sarebbe ribellata. Alba non perdeva mai. Alba sarebbe volata via da lì, via da quel mostro.
 
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view post Posted on 19/4/2009, 18:01
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L’aria scotta.
Improvvisamente, la realtà del fulmine che poco fa ha squarciato il cielo la raggiunge, attraversando la barriera di nebbia e lacrime che l’avvolge come una coltre.
Un fulmine. Preannuncio luminoso e bollente di un temporale freddo e buio.
Un fulmine, un altro modo che il mondo, o il destino, usa per ingannarti sul futuro.
Ma non è questo che le fa paura.
Lei conosce queste cose, sa per esperienza cosa portano i fulmini. Nuvole grosse e nere, cariche di acqua ghiacciata. Pioggia. Fredda, dolorosa, carica di memorie.
Che effetto avranno di nuovo le sue gocce? Malvagie, molto più di quanto lo è lei!
Ha paura. Non vuole ricordare di nuovo.
I gradini sono già bagnati delle sue lacrime. Perché devono essere bagnati ancora?
Il cielo non piange, finge solo. Sente il cuore caricarsi di un rancore umido, pregnante. E’ solo lei che piange. Il cielo non consola il suo dolore. Il cielo piangeva anche in quella notte…non ricorda bene se lo faceva al posto suo o il suo viso era bagnato anche di lacrime sue.
Non vuole, non vuole che lo faccia ancora!
Ma il cielo non ascolta le sue preghiere. La vita di ognuno è più forte di se stessi, anche se le dici che non sei pronto.
Una goccia cade sulla sua testa.
Non fa in tempo a varcare la soglia del tutto.
NO!
Tutto si ferma in un lunghissimo secondo.
Tutto si ferma sui ricordi della sua notte di dolore.

Piove, piove forte. La vista è annebbiata, di lacrime e di pioggia, l’aria è carica di elettricità. Intorno a lei solo morte.
C’è differenza da adesso?


Rialza la testa, le guance solcate da numerose gocce, che non si capisce se siano di pioggia o sue.
I ricordi sono affluiti veloci, come se non fossero mai stati nascosti.
I ricordi sono arrivati lenti e dolorosi come una tortura.
Ma non può buttarli via o fingere che non esistano. Non può buttare via se stessa.
Lei è Chiyo, la strega.

Che senso ha piangere? Che senso ha smettere di farlo?
Chiyo era ferma, sull’entrata di una porta. La memoria di come era arrivata fin là sembrava appartenere a ieri. Com’è che i ricordi di una vita prima erano più recenti di pochi secondi?
La pioggia scrosciava, appiattendole i capelli biondi intorno al viso. Non un alito di vento che scacciasse le nuvole via, per lei. Quando mai il mondo esaudisce le tue preghiere silenziose? Ti illude solamente, anche quando il sole batte dove speravi. Chiyo sapeva che in quei momenti bisognava stare attenti a non credergli davvero, ma ogni volta ci cascava...e che vantaggio ne traeva, se non più sale sulle ferite aperte? Aperte, e mai richiuse, perché ogni temporale stracciava le bende.
Gli occhi verdi, più plumbei di prima, fissavano il buio della cripta. Non era più tempo di fingere.
Il silenzio che prometteva oscurità suggeriva il dolore che vince il dolore.
La vita non è giusta come la vorresti. Farsi una ragione vuol dire vivere, dicono tutti. Ma sai che non è così per te.... Se la ferita brucia, non ignorare il dolore, accoglilo a braccia aperte...nutriti di esso...diventa il tuo dolore!
Cercava di ignorare quelle parole, ma non ci riusciva, perché il silenzio parlava direttamente con la sua mente.
Ogni sillaba era una stilettata al cuore e ogni lacrima era una goccia di sangue che colava via.
Tremava. Il calore portato dal fulmine era svanito.
Ignobile scherzo della natura! Si era detta di non credere a quella promessa che allontanava il freddo, ma si era fatta ingannare lo stesso, e il gelo era sceso più forte di prima.
Ma dentro alla cripta il freddo sembrava essere ancora più intenso.
Il cielo continuava a colpire, insofferente, con mille spilli che cadevano dall’alto, sopra di lei; la bagnavano, rendendola facile preda dell’aria ghiacciata.
Quale scegliere, tra i due mali?
Non scelse, non coscientemente. Come poteva? Come poteva, ridiscendere i gradini e andarsene via? Non si può mai rinnegare una scelta, e lei l’aveva già fatta. Aveva salito i gradini.
Ora doveva entrare, e compì quel passo come l’ultimo scatto di una maratona.
La pioggia cessò di infrangersi sulla sua testa, ma sapeva che il nemico si ritirava solo per lasciarla in preda di qualcosa peggiore.
Il buio la abbrancò.
Cieca per qualche attimo, seppe di non essere sola.
Altre due presenze, oltre a lei, in quella cripta.
Lo stesso silenzioso buio era una.
Le ombre si allungavano come le dita di una mano, inghiottendo ogni luce che i fulmini lontani scagliavano nell’angusto spazio; il silenzio si esaltava nel rombo immenso dei poderosi tuoni.
Non c’era via d’uscita in quella tela nera; il ragno già pregustava la sua vittoria.
Tuttavia la mosca non era lei.
La vide a terra, le nere ali inconsciamente aperte e abbandonate sul pavimento lurido. I capelli di lei, piume di corvo scomposte intorno al viso, nascondevano appena uno sguardo striato di freddo argento. Ma, per quanto freddo, aveva un’intensità così viva che lo rendeva incandescente.
Chiyo ricambiò lo sguardo.
“Chi sei?”, avrebbe voluto sussurrare. Ma per quanto banale, la domanda pareva contenere lo stesso potere di un’arma micidiale. Se l’avessero chiesto a lei, cosa avrebbe risposto?
Io sono Chiyo.
E chi è Chiyo?
E’ sola.

Si chiese se l’altra avrebbe risposto la stessa cosa di se stessa.
La cripta era buia, era il buio, era silenziosa, era il silenzio.
Non c’era spazio per niente altro e niente altro poteva entrarci. Era un intruso, esattamente come lei.
Provò sorpresa.
Una stella caduta dal cielo è una stella che ha perso il suo posto e ovunque vada sarà sempre unica, elemento di disturbo dell’ordine.
Quella ragazza era come lei?
Fece un passo avanti, senza sapere cosa le sarebbe successo, senza sapere il motivo per cui lo faceva.
Ci serve sempre un motivo?
Si nasce soli e soli si va via.
Ma che succede se due stelle si incontrano?
Si fermò davanti a lei, in piedi. Non tese la mano per aiutarla ad alzarsi, perché leggeva nei suoi occhi il suo stesso dolore e il suo stesso orgoglio.
Voleva aiuto, non lo voleva.
Come lei.
Continuò a guardarla negli occhi. Se quel contatto invisibile tra due stelle era quasi fisico per lei, lo sarebbe stato anche per l’angelo caduto?
 
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»Littli.
view post Posted on 6/5/2009, 16:00




Gli occhi di quella bambina. Gli occhi di quella bambina erano magnifici, e al tempo stesso i più paurosi che avesse mai visto. Potevano possedere tanta angoscia gli occhi di una bambina? Alba non aveva mai visto così tanta tristezza, paura, smarrimento, in sol paio di occhi. Probabilmente, però, non sapeva che i suoi erano simili a quelli della piccola strega in quel momento, così come ignorava molte altre cose. Ignorava che la bambina in realtà non fosse una bambina, ma una longeva strega. Ignorava che i loro destini fossero intrecciati in uno stretto nodo e si sarebbero incrociati di nuovo, in altri luoghi e in altri tempi. Ignorava di essere lì per un motivo preciso, per un compito importante da svolgere in futuro, per qualcosa -qualcuno- di cui ancora non sapeva l'esistenza. Ignorava molto cose, Alba, ma le avrebbe sapute tutte, prima o poi, nel bene e nel male.
Allungò le mani, premendole a terra e con uno sforzo sovra umano riuscì a strisciare in avanti, guadagnando di un metro e mezzo circa la porta liberatoria.
E' questo che ti meriti, nient'altro. Cosa credevi? Che ti avrei salvata? Certo, certo che..no! Non lo farò mai, mai, MAI stupida ragazzina, MAI!
Meriti solo di soffrire, bruciare e morire. Che bello, che bella la smorfia di dolore sul tuo volto!


Sta..zitto.

Parole senza colore, pronunciate con la voce atona e distrutta di chi, ormai, non ha più nulla da perdere. Alba ormai stava perdendo, soffrire di più o di meno, cosa importava? Ormai aveva perso.
Ma non sapeva che presto, avrebbe vinto. Molto, molto più di prima.
Alzò lo sguardo verso la cupola, dove ci sarebbe dovuto essere il cielo.
Il cielo. Quando cade il cielo. E se cade il cielo? Era inimmaginabile. Non lo sapeva, non poteva saperlo; o forse più semplicemente non voleva saperlo. Perché lei al cielo doveva tutto: i suoi respiri, la sua vita stessa. Le sue ali. La sua essenza era legata lassù, dove nemmeno le nuvole si spingono, nell'infinito blu del cielo.
Ma ora il cielo stava cadendo e lei con lui. Non poteva far altro che cadere, lasciandosi scivolare in un baratro infinito: no, quella volta, non ci sarebbero stati lembi di terra ad attutire la sua caduta ed accoglierla. Precipitava, tutto precipitava. La sua vita stessa scivolava fra le dita della sua mano inerme e lei non poteva far altro che guardarla andar via, incapace di qualsiasi movimento. Morire. Come sarebbe stato morire? Morire. Meglio di vivere quel momento. Morire mille anni, piuttosto che passare un secondo di più in quella cripta. Ma sapeva che non sarebbe morta, sarebbe stato tutto troppo facile. Lei non doveva morire. Doveva soffrire. Soffrire in silenzio, sola. Perché Alba non aveva mai avuto nessuno al suo fianco. Nessuno si era mai preso cura di lei in modo affettuoso, nessuno l'aveva consolata o aiutata. Mai. Tutto quello che aveva, tutto ciò che lei era, era frutto del suo sforzo, di tanto impegno, di difficoltà infinite. Non lo aveva mai ammesso nemmeno a se stessa, ma solo lei sapeva quanto potesse essere realmente duro poter contare su nessuno.
Sola.
Ma in quel momento non era sola. Abbassò gli occhi, l'unica parte di lei rimasta del tutto viva, e li puntò nuovamente sulla creatura di fronte a lei. Lei? Aveva forse una funzione, lì, proprio in quel momento? Per aiutare lei, che non aveva mai chiesto aiuto a nessuno? Una smorfia sulla sua bocca. Le labbra disidratate si schiusero, come a voler parlare; boccheggiò nel vuoto come un pesciolino fuori dalla boccia e poi le richiuse. Non c'era abbastanza aria, né c'erano abbastanza forze, per parlare.
Si limitò ad avvicinarsi ancora di più alla ragazzina.
In quel momento, della maestosa colomba nera era rimasto ben poco. Lo sapeva bene Alba, l'alba della morte, e lo sapeva bene anche la Morte, alba del dolore, che si prendeva gioco di lei.
Lì, semi sdraiata sul pavimento sudicio, le braccia allungate, le mani ancorate al terreno; il corpo proiettato in avanti, strisciato sul pavimento. Il viso scarno, le labbra screpolate, la pelle sporca di nero in alcuni punti. Le ali piegate con sofferenza all'indietro, abbattute sulla sua schiena, come se non riuscisse più a muoverle. Non sembrava più il maestoso angelo che era stata: sembrava un cigno, un cigno agonizzante in un mare di petrolio, invischiato inesorabilmente nel catrame, senza possibilità di uscirne. Protese la testa, allungando il collo in avanti, come una ballerina di danza classica. Alba. Alba e la sua eleganza. Alba e i suoi elementi raffinati, unico segno di quel briciolo di dignità che ancora le rimaneva.
Le dita si staccarono dal suolo, una a una, in una sofferta danza, e la mano destra si alzò. Il bracciò si allungò, il palmo aperto, la mano tesa verso la bambina.
Si sarebbero aiutate. Insieme.
 
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view post Posted on 6/5/2009, 23:06
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Chiyo osservava i movimenti stentati della creatura davanti a lei. Immobile. Solo gli occhi tradivano quanto in realtà si stesse muovendo. Gli occhi cupi, che non avevano ancora finito le lacrime, ma che ormai le gettavano inconsciamente fuori, in silenzio, e le facevano scivolare lentamente lungo le guancie pallide, per finire il loro tragitto sulle labbra rosee, leggermente dischiuse.
Chiyo osservava affascinata la fatica dell'angelo. Cercava di raggiungere la porta, non più aprendo le ali per volare, no. Quelle giacevano sulla sua schiena, piegate in una posa innaturale, come se si fossero rotte. L'angelo strisciava a terra, aggrappandosi con le unghie.
Ma per quanto miserabile fosse l'immagine che dava di sé, la strega non riusciva a distogliere lo sguardo da quella che ai suoi occhi era la creatura più luminosa che avesse visto.
Nella sua disperazione, nel suo dolore distruttivo, l'angelo risplendeva di luce propria. Esattamente come una stella. Una stella caduta.
Nel silenzio della cripta non c'erano suoni.
Ma allora perché Chiyo udiva quella musica?
Nel buio dell cripta non si vedeva nulla.
Ma allora perché Chiyo leggeva ciò che accadeva come se fosse scritto sul muro?

I can almost see it.
That dream I'm dreaming, but
There's a voice inside my head saying
You'll never reach it



L'angelo impigliato nella ragnatela cercava di uscire, gli occhi ancorati a quell'ultima salvezza che era l'uscita. Ma per quanto si impegnasse, qualcosa continuava a trascinarla indietro. Ripeteva i gesti, quasi ormai con rassegnazione...

Every step I'm takin'
Every move I make
Feels lost with no direction,
My faith is shakin'



La musica, capì Chiyo, proveniva direttamente dall'angelo. In quel breve contatto tra i loro sguardi, avevano condiviso più di quanto potessero immaginare. L'angelo non si accorgeva di stare inconsciamente suonando: con i suoi movimenti, si agitavano i filamenti dell'animo della strega, come le corde di una chitarra.
Che cosa c'era in quegli spilli d'argento, da creare questa connessione tra due anime?
C'era lo sguardo di chi non riesce a capire, ma di chi riesce a comprendere. Cosa? La vita. Lo sguardo di chi guarda la morte in faccia chiedendosi come sarà e trova la risposta alla vita, senza riuscire ad afferrarla a fondo.
Perché, perché?, ti chiedi. Ma la risposta è sempre la stessa. E'.
E' così, la vita. Questa sospensione incomprensibile nel tutto e nel niente.
Ed entrambe lo sentivano. La stavano guardando entrambe, per un attimo, da fuori. Non perché l'avessero propriamente scelto. Era la vita stessa che le aveva buttate fuori.
Che fare in questi momenti? Che altro fare, se non strisciare a terra, cercand con tutte le forze di rialzarsi?

But I gotta keep tryin'
Gotta keep my head held high



CITAZIONE
Sta..zitto.

A queste parole Chiyo spalancò gli occhi. Il cuore prese a battere più forte, come se avesse ritrovato vita.
Impossibile.
Laggiù?
Così a terra?
L'angelo rivolse i suoi occhi in alto, nel disperato tentativo di cogliere l'ampiezza e il conforto del cielo, dove in realtà c'erano solo pietra e polvere. Seguì anche lei il suo sguardo. Non vedeva il cielo. Vedeva un ostacolo che le impediva di vedere.
Frustrazione.
Strinse i pugni. Quanto avrebbe voluto spazzarlo via! Quanto avrebbe voluto riaprire la strada al cielo per quell'angelo che -lo sapeva- la rappresentava più di tutti!
Ma ci sarà sempre un ostacolo...Sarà sempre un desiderio quello di spostarlo, ma ce la farò?
Abbassò lo sguardo sull'angelo, sulle pagliuzze d'argento che le incendiavano gli occhi, come a cercare una risposta da lei.
La risposta le arrivò da dentro di lei, ma era raccontata dalle pupille della colomba nera.

Always gonna be an uphill battle
Sometimes I'm gonna have to lose



Si rassegnava, inerme, a terra, gli occhi rivolti verso l'alto, a guardare la vita che fuggiva da lei. Sarebbe sembrata morta, se non fosse per l'affannato e irregolare respiro.
Il corpo della strega fu scosso da un silenzioso singhiozzo di amara sorpresa.
Sorpresa? Non lo sapeva forse già, che non sempre si può vincere?
Ma non poté trattenere altre lacrime, che sgorgarono copiose dai suoi occhi plumbei.
Poi l'angelo riabbassò lo sguardo, come se si fosse ricordata di qualcosa, e lo sguardo si posò su di lei.
Aprì la bocca, forse per sussurare qualcosa, ma Chiyo non udì niente.
Un sommesso strusciare l'avvertì che l'angelo si stava avvicinando a lei.
Ebbe un sussulto, non visibile con gli occhi. Era pronta per cosa sarebbe successo? Ma come era arrivata fin lì? E cosa sarebbe successo dopo?
Non lo sapeva, quando aveva salito i gradini.
Ma ci saranno sempre dei gradini da salire. Ci sarà sempre una scalata da fare e fatica e sudore e lacrime da versare. E dolore e sollievo e tempo per riflettere e tempo per agire. Tutti insieme ma ben scanditi l'uno dall'altro.
Così è la vita. Una scalata immensa. E ben lo dimostrava l'angelo, che strisciava a terra aggrappandosi come se si stesse arrampicando su una parete liscia e priva di appigli. E in quella sua fatica, Chiyo non poté che ammirarla di nuovo e ascoltare ancora quella musica che produceva, con i suoi movimenti da ballerina.

The struggles I'm facing
The chances I'm taking
Sometimes might knock me down, but
No I'm not breaking



Staccò le dita da terra, quasi stesse premendo i tasti di un piano...La mano destra si staccò finalmente da terra e si tese verso di lei.

I've just gotta keep goin', and
I gotta be strong
Just keep pushing on!



Chiyo fu scossa da un altro singhiozzo, puramente sorpresa. Quella mano tesa...era una richiesta d'aiuto o un'offerta dello stesso? O era entrambe?
Chiyo avvicinò esitante la sua mano. Perché? Chi ne aveva bisogno?
Chiyo sapeva di non poterne fare a meno, se voleva andare avanti. Doveva dimostrare a se stessa che poteva fare qualcosa, per gli altri e per sé. Doveva dimostrare che lei non si sarebbe arresa, oh no. No, decise! Per quanto dura possa essere la salita, io ce la farò...
Afferrò la mano dell'angelo e la strinse con forza rinnovata, con una nuova fiducia.
Tirò verso di sé, cercando di sollevare l'angelo da terra, porgendo anche l'altra mano in aiuto.
Cosa sarebbe successo dopo, non lo sapeva, né lei, né l'angelo. Ma la musica Chiyo continuava a sentirla.

I may not know it, but
These are the moments that
I'm gonna remember most...


E allora non dimenticae. Mai. Non dimenticare quello che sei adesso.
Una frase che sentiva dal profondo, comunicata solo con la voce degli occhi.
 
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»Littli.
view post Posted on 28/11/2011, 22:57




Continuava a guardare la bambina. Qualcosa le sfuggiva. Chi era li per aiutare chi? Per un istante, quando la porta si era aperta, aveva pensato a qualcuno mandato per salvarla, aveva addirittura pensato che fosse proprio Aion in persona, arrivato fin laggiù per portarla via.
Sciocca. Come aveva potuto anche solo sfiorarle quel pensiero? Come aveva potuto pensare di contare qualcosa per lui, di essere così importante da essere salvata? A lui non importava di niente e nessuno, tanto meno di lei, era sempre stata solo e soltanto una pedina nelle sue mani. Non che si fosse mai innamorata di lui, ma lui le aveva fatto credere di essere importante, di essere un Owl eletto, diverso dagli altri, quasi alla sua destra..storie, soltanto storie per convincerla ad agire secondo i suoi scopi. Era ovvio che nessuno sarebbe arrivato a salvarla, perché nessuno lo desiderava. Chi avrebbe mai potuto? Alba non aveva commesso una sola azione positiva nella sua vita, aveva vissuto nel nome di un male che lei stessa non conosceva, aveva ucciso anime pure e innocenti, aveva tramato alle spalle dei potenti e ingannato i più semplici, si era tirata addosso odio e inamicizie. Nessuno avrebbe aspettato più di un secondo per dire "sì, bruciatela in un rogo!"
Queste considerazioni la colpirono allo stomaco come una pugnalata a tradimento. Non ci era mai arrivata prima, come era possibile? Come aveva potuto pensare che qualcuno l'avrebbe salvata? Anzi, che qualcuno non l'avrebbe punita?
E poi..quella bambina. Un essere piccolo, così insignificante all'apparenza, se Alba l'avesse incontrata in un altro momento non avrebbe esitato un secondo a venderle un palloncino e ucciderla. Magari sciogliendola col suo delizioso acido argenteo. Magari con una pugnalata alla schiena. Magari con una lunga e lenta tortura. Ma in quel momento non c'era spazio per l'odio né per la violenza, non c'era spazio per la cattiveria né per i complotti, non c'era spazio per nulla. C'era solo un vuoto enorme, un vuoto che attanagliava e risucchiava ogni cosa in quella cripta, in quel cimitero, forse nel mondo intero. Forse, in quel momento, tutto stava svanendo come lei, come sabbia al vento, come cosa futile.

Un po' tardi per pentirsi. Ma apprezzo.

Allora poteva anche sentire i suoi pensieri.
In quel momento qualcosa cambiò dentro di lei. In quel momento si sciolse tutto come ghiaccio al sole d'agosto.
Non siamo in una di quelle storie lacrimose, in una puntata di Beautiful, in cui l'antagonista in punto di morte si converte e scopre di avere un cuore. Alba non aveva mai avuto un cuore e mai l'avrebbe avuto. Alba non si pentì, perché la pietà e il pentimento sono sentimenti che nessuno le aveva mai insegnato a provare.
In quell'attimo, guardando gli occhi della bambina, Alba semplicemente capì. Capì che era giunta la fine, e che era inutile tentare di combattere ancora, capì che il suo stesso male si era ritorto contro di lei e ora l'avvolgeva in una spirale sempre più stretta. Non rimpiangeva la sua vita e certamente avrebbe rifatto tutto da capo, ma ora poteva giacere.
Poteva abbandonarsi al suo Destino con una nuova pace dentro di sì.
Sorrise alla bambina. Sì, la sua fine. La loro fine? Qualcosa dentro di lei stava cercando di dirle che in qualche modo i loro destini si stavano legando per sempre.
Sorrise.
E le dita dell'Arcistrega circondarono le sue, con una presa salda, più salda di quanto ci si aspettasse da una bimba, e la sollevarono da terra.
Come se fosse fatta d'aria, e in un certo senso lo era, Alba si sollevò da terra. Il vento si impossessò del suo corpo, la magia sconvolse le sue membra. In alto, nel centro esatto della cripta, una fortissima luce bianca quasi accecante l'avvolse imprigionandola in una morsa senza via di scampo.
Continuava a sorridere. Un lampo. Un botto. Una polvere di neve. E Alba esplose in mille scintille nere e piume come la pece.
Esplose. Semplicemente così com'era apparsa nel mondo, se ne andò.
Ma Alba era destinata a tornare.
Per terra, un mucchio di cenere fumante.
Sull'uscio, ancora la piccola strega.
Il destino le avrebbe riunite presto.
Perché le Fenici rinascono dalle proprie ceneri, si sa.


 
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view post Posted on 30/11/2011, 22:50
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La creatura alata sorrise.
Si guardarono negli occhi, una volta di più, lei e la strega. Finalmente tra loro c’era un contatto fisico, finalmente Chiyo poteva sentire il legame che si era formato non solo con lo sguardo. Ma le mani della colomba nera erano fredde, tutto il suo corpo lo era… il calore della vita in lei era come le fiamme di un caminetto che stanno pian piano spegnendosi sul legno che hanno carbonizzato.
Cosa hai mai fatto per meritarti questo? Era stata lei stessa a infliggersi quella fine? Se si gioca troppo con il fuoco, prima o poi ci si brucia; se una stella ruota troppo veloce, prima o poi esploderà.
Le stelle…
La strega si afferrò più saldamente a quell’Owl riverso a terra, voleva portarlo via di lì, fuori, fuori, dove avrebbe potuto vedere il cielo, il cielo e le sue stelle, dove forse si sarebbe sentito a casa. Forse fissando lo sguardo sugli astri si sarebbe sentita davvero in salvo.
Ma la strega non riusciva a staccarla da terra più di così.
Strinse i denti per la rabbia, perché, perché? Perché l’ultima cosa che le era concesso vedere erano i suoi occhi? I suoi, di Chiyo… la strega che non ammetteva nemmeno a se stessa di essere in fuga dal proprio destino? Proprio i suoi occhi doveva vedere, quella creatura che andava incontro alla fine col sorriso sulle labbra?
Avrebbe voluto gridare, tanto si sentiva ferita e arrabbiata. La salita era dura, tanto dura. Era dura accettare che forse non l’avrebbe salvata, era dura accettare di intraprendere un cammino da sola. Ma aveva salito quei sette gradini, li aveva scelti lei di salire, quando ancora non sapeva cosa avrebbe trovato in cima. Poteva dire di essere stata manovrata? Il temporale l’aveva spinta a cercare rifugio…forse proprio come quella creatura che cercava di salvare a tutti i costi anche lei non era stata che un burattino nelle mani di qualcuno.
Tutto era già scritto.
Eppure Chiyo aveva scelto.
Aveva scelto e ora anche per la Reatha doveva essere forte e continuare a camminare, anche se avrebbe dovuto farlo da sola. Anche se la salita era dura e non sapeva cosa avrebbe trovato al di là di essa.
In quel momento quei due esseri si stavano aiutando a vicenda. La strega trovò coraggio, e la stella caduta trovò salvezza, ma in un modo diverso da come le due intendevano: non erano aperte per lei le porte del paradiso, né si sarebbero divelte le catene che la legavano al mondo, ma sarebbe potuta rinascere, purificata, per imparare tutto di nuovo, e per poter imparare a vivere doveva prima sapere cosa voleva dire morire.
Questo in parte le Reatha l’aveva capito. E ora sorrideva.
Guardandola ancora, più a fondo, con quello sguardo che le aveva permesso di leggere dentro la sua anima, capì anche la strega.
La stella caduta sorrideva, come la versione tragica di un attore che, finito lo spettacolo, sale sul palco per ringraziare il pubblico degli applausi, per poi uscire definitivamente di scena.
Chiyo lo sapeva, di lì a poco sarebbe calato il sipario sulla vita della povera Owl. Tutto quello che poteva fare ora era stringerla, e starle vicina, in modo che non smettesse di sorridere, perché quel sorriso, in fondo, era per lei. E non bisogna sprecare l’ultima luce di una stella, bisogna raccoglierla tutta, perché non c’è niente di più prezioso.
All’improvviso la creatura alata le venne strappata via dalle mani. Inutilmente Chiyo cercò di riafferrarla, le sue dita graffiavano solo il vuoto, perché la stessa forza misteriosa che l’aveva ridotta in quello stato gliela stava trascinando via, via, in alto, verso il soffitto della cripta, e dove prima c’era solo buio, una luce accecante si accese, incandescente, e dove prima c’era solo silenzio, l’urlo di dolore della colomba nera si alzò straziato. Eppure, attraverso tutta quella luce, la strega vide che il sorriso non era stato cancellato dal suo volto, nonostante il corpo fosse stritolato da quella luce, contorto in pose innaturali.
Un nuovo lampo squarciò il cielo fuori dalla cripta, e la sua luce elettrica sembrò attraversare le mura di pietra per colpire la giovane donna dalle ali nere.
Luce, luce, ancora! Questa volta così forte che costrinse Chiyo a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, nevicava polvere nera, mista a piume corvine. Attraverso il velo delle lacrime, parevano davvero fiocchi di neve. Solo che fumavano ancora. Erano cenere, cenere del corpo di una stella. Alla fine era esplosa.
Guardò le piume cadere, compiere il loro ultimo volo fino a terra. Teneva ancora le mani tese verso l’alto, nel loro tentativo di fermare tutto, fermare il tempo, magari. Ma no. Non sarebbe servito. Il tempo si prende ciò che vuole, e questo anche il destino.
Il Destino…
Un passo.
Quel rumore suonò così irreale, dopo quel boato che aveva decretato la fine della colomba nera!
Un passo…
Chiyo avvertì un brivido freddo lungo la schiena. Ebbe un’improvvisa intuizione di cosa sarebbe accaduto adesso. Ne fu terrorizzata.
Il Destino aveva finito di giocare con la prima bambola, e ora che l’aveva rotta, toccava all’altra.
Un terzo passo, e dal buio comparve lui. O forse era sempre stato lì a osservare col suo sorriso di scherno, e solo ora la strega poté distinguerlo nel buio.
Il Messo.
Non era assolutamente cambiato. Era rimasto uguale all’immagine che aveva di lui nei suoi incubi.
-Bentrovata, Arcistrega.- la salutò. Chiyo non poté reprimere un altro brivido. Era talmente assurdo che non voleva crederci, si rifiutava di pensare che il Messo fosse uscito dai suoi sogni peggiori, da quell’oscurità che aveva appena ucciso la colomba nera.
Ma il Messo restava lì, anche se lei si rifiutava di accettarlo, ad aspettare che lei dicesse qualcosa, o semplicemente a godersi la sua espressione atterrita.
Avrebbe voluto scappare. Ma le gambe non si muovevano. E in quel momento capì, oh, capì, che anche lei era stata manovrata dal Destino, aveva salito quei gradini per andare nella tana del lupo! Ma il fatto di essere entrata rimaneva sempre e comunque una scelta sua, era lei che aveva scelto di seguire quella strada, forse condotta da un sentimento ancora sconosciuto, ma che sapeva non era stato inutile.
In qualche modo, anche lei come la Reatha stava accettando il suo destino.
-Come mi hai trovata?- riuscì a dire infine.
-Non era difficile sai? A dir la verità sapevo dove ti trovavi da un sacco di tempo, ma mi sono divertito a giocare un po’ a nascondino con te, Siorai Connor…o forse dovrei chiamarti Chiyo?- ghignò il Messo, facendo rabbrividire di nuovo la strega.
–Come vedi non mi sono perso una tua sola mossa, anche se hai cercato di depistarmi.-
Siorai Connor…Quanto tempo era che non udiva quel nome?
No, no, no! Perché pronunciarlo adesso?! Fuori pioveva! No, no… i ricordi e il dolore riaffiorarono di nuovo, le ghermirono il cuore in una morsa. Ad essi, ora si aggiungeva l’immagine della Reatha riversa a terra, e poi esplosa nella luce…
Sarebbe venuto il suo turno, adesso?
Scosse la testa con veemenza, non voleva farsi abbattere di nuovo dalla debolezza, non ora che con lo sguardo aveva promesso alla Reatha che sarebbe stata forte, non ora che aveva raccolto la sua ultima luce.
-Ma allora perché solo adesso vieni a cercarmi? Non mi potevi lasciare stare?- protestò. Era furiosa, ma anche impaurita, e triste, e stanca. Non voleva affrontare il Messo.
-Credimi, avrei giocato con te un altro po’- rispose lui avvicinandosi; Chiyo avrebbe voluto allontanarsi, ma sapeva di non potersi muovere. –ma il tempo è scaduto.-
L’ultima frase era stata così lugubre, persino in bocca sua, che Siorai era rabbrividì.
-Cosa intendi dire?-
-La barriera che protegge il Seamair si sta indebolendo…e com’era prevedibile qualcuno ha già provato a infrangere il Tabù, cercandolo per sé.-
Il Seamair… il Trifoglio, il calice della magia…indebolito?
-Si sta indebolendo? Cosa?! Non è possibile!-
-Non so spiegarti le cause, nessuno ancora lo sa! Posso fare solo ipotesi, ma ora non è il momento delle congetture! Devi tornare in Irlanda, Siorai Connor, e accettare il tuo compito come hanno già fatto i Capi delle altre Razze!-
Il Messo aveva lasciato da parte la sua aria tranquilla e sorniona: Chiyo non l’aveva mai visto, né immaginato, così infervorato.
Ma ora capiva. Nessuno aveva il diritto, né tantomeno le forze, di impossessarsi di una fonte di potere pura e neutrale come il Trifoglio. Se il Seamair governava nell’equilibrio, trascinarlo dalla parte di un singolo o di un singolo gruppo avrebbe portato a conseguenze catastrofiche.
Ecco perché il tempo era scaduto, ecco perché il destino l’aveva condotta lì. Doveva vedere cosa stava accadendo. Doveva scegliere. Non poteva più essere “Chiyo”, non poteva più fingere davanti a se stessa di essere un’altra persona, che quanto aveva vissuto non fosse mai successo.
Lo sguardo autoritario e annichilente del Messo non si staccava da lei né le permetteva di distogliere il suo; il buio continuava a ripetere il suo vero nome in un’eco assordante.
Accetta il tuo destino.
In un certo senso, il suo destino sarebbe stato il medesimo della Reatha: Chiyo sarebbe morta, e dalle sue ceneri sarebbe rinata Siorai.
Nel momento in cui comprese, e accettò, il suo compito, il Messo sciolse la presa su di lei, che si sentì come ricadere dentro il proprio corpo, come se la sua anima fosse stata tenuta sospesa per dei fili finché non aveva detto sì. Barcollò, e senza una parola si voltò, verso l’uscita. A passi lenti, camminò sotto la pioggia e scese i gradini.
Alzò lo sguardo verso quel cielo che piangeva e che riaccoglieva nel mondo Siorai Connor, non più solo attraverso le memorie.
Allora Siorai aprì la bocca e cantò, con un sussurro a malapena udibile sotto lo scroscio della pioggia: -Singing amen, I’m alive, I’m alive..-
Presto, anche se ancora non lo sapeva, avrebbe sentito l’eco di quelle parole anche nella luce di una nuova stella, che non era andata del tutto perduta.
Ma ora era tempo di mettersi in viaggio.
 
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»Littli.
view post Posted on 2/12/2011, 16:57




Resto fermo tra le onde
mentre penso a te,
fuoco rosso luce e rondine..
tra le foglie soffia
un vento molto debole,
nel frattempo un fiore
sta per nascere..


Una grande stanza completamente nera. Pavimento nero lucido, muri dipinti di nero, nessuna finestra. Il soffitto, se ci fosse, sarebbe nero.
Completamente avvolta nell'oscurità, la stanza nera sarebbe potuta essere ovunque e in nessun luogo allo stesso tempo. Priva di mobiglio o di qualsiasi oggetto, l'unica presenza era un mucchio di polvere al centro esatto. A guardarla così, a prima vista, sembrava davvero polvere lasciata li dal caso, a stonare col nero perfetto e lucido della stanza. In realtà, si trattava di ben altro: cenere e piume color della pece, logore e spiegazzate, usurate. Ceneri ancora fumanti, ancora, in qualche modo se possibile, vive.
Una leggera brezza sembrò scuoterle piano, quasi cullarle, si scostarono leggermente dal pavimento, per poi ritornarci piano, senza fretta, dolcemente atterrando. Delicatezza.
Fremettero, le ceneri, sempre più convulsamente, con un ritmo crescente, fino a lacerarsi. Le piume si spezzarono e si sbriciolarono, la cenere divenne ancora più fine di quanto non lo fosse prima; e da esse si sprigionò un'intensa luce rossa. Brillava potente e forte, viva. Si sprigionò verticalmente, fino a raggiungere il soffitto che non c'era, in una colonna di rosso fuoco capace di illuminare le tenebre in cui era immerso quel luogo.
Una forza magica e potente, che avrebbe fatto nascere anche i fiori dal cemento..

qui trafitto sulla terra
steso me ne sto,
aspettando di volare un po'..
eccoci qua.
a guadare le nuvole
su un tappeto di fragole..


Qualcosa nacque davvero. Come un fiore dal cemento. Sul pavimento, adagiato sulle sue stesse ceneri rosse e ardenti, un corpo
tremava. Era il corpo di una giovane ragazza, che non dimostrava più di vent'anni. Era piccola e snella, forse fin troppo magra, tanto che osservandola si potevano con tranquillità contare le ossa che componevano il suo scheletro. Il viso conservava lineamenti dolci, da bambina. Gli occhi chiusi, coronati da ciglia lunghe. Era completamente nuda, sdraiata in una posizione fetale, rannicchiata. Le ginocchia contro il petto e le braccia a circondarle. I capelli lunghissimi e lisci, neri, quasi di seta, abbracciavano la sua pelle chiara, quasi diafana, di bambola.
Sbattè le palpebre, svegliandosi improvvisamente, come un neonato che per sbaglio ha sputato il ciuccio nel sonno. Aprì gli occhi e li richiuse immediatamente, credendosi cieca: non riusciva a distinguere niente attorno a lei. Effettivamente, perché non c'era niente attorno a lei, ma questo non poteva immaginarlo. Si mosse, cercando di alzarsi, ma l'unico risultato che ottenne fu quello di ritrovarsi inginocchiata tra le ceneri - scottavano, eppure non le bruciavano la pelle -, i capelli a coprirle il seno, quasi volessero preservare la sua immagine innocente di bimba.
Lo sguardo era smarrito, impaurito e sconvolto. Non riusciva a ricordare nulla. Chi era, dov'era?
Alba portò le mani davanti al viso, osservandole. Erano piccole ma dalle dita lunghe, la pelle liscia, le unghie discretamente lunghe, naturali, ma ben curate. Eppure, per qualche motivo nella sua mente riusciva a ricordarle soltanto graffiate e lacerate, il sangue che colava dalle nocche, le unghie spezzate. Le due immagini non combaciavano affatto, anzi, cozzavano totalmente l'una con l'altra.
Chi era allora? La ragazza con le mani pulite e curate, oppure quella con le mani sporche e insanguinate?
Come se la leggesse nel pensiero, una voce dal nulla tuonò:
Sei entrambe, Alba.
Sei Alba, la Colomba Nera, morta a causa dei suoi terribili peccati.

Attese un secondo, come se volesse creare una pausa a effetto.
E sei Alba, la Fenice, rinata dalle sue stesse ceneri.
La ragazza non parlò. In quel momento, era come paralizzata, incapace di proferire parole, incapace di muoversi, quasi incapace di pensare.
Poi, in un solo istante, ricordò tutto.
Un Owl cattivo e spregevole, bellissima e seducente, terribile e spietata. Si rivide uccidere bambini, uomini e persone di ogni sesso ed età, senza un motivo particolare. Rivide il pugnale, il suo pugnale, tra le sue mani, sporche di sangue. Rivide le sue mani trasformarsi in acido argentato e corrodere oggetti..e persone. Rivide se stessa ridere, una risata senza cuore, una risata senza sangue, una risata senza colore.
Si inorridì, incapace di riconoscersi in quei fotogrammi.
E poi, in solo istante, capì tutto.
Il Semair stava guidando i suoi ricordi e le immagini che si sovrapponevano nella sua mente.
Capì di essere Alba, la Fenice rinata dalle sue stesse ceneri. Capì di essere importante. Di essere l'Astris Sanctum. Di dover guidare il suo popolo. Di dover proteggere la magia.
Si alzò da terra in un unico, fluido, convinto movimento. Il suo corpo venne magicamente fasciato da una veste rosso fuoco, che pareva quasi brillare.
Non poteva ancora vederle, ma sulla sua schiena erano apparse le nuove ali: grandi e maestose, dalle piume forti e lucenti, color del sangue, come rubini ardenti e vivi. Alcune, più di venti sicuramente, erano color oro, sembravano colate dall'oro più puro, e brillavano di luce propria, tanto da creare un alone chiaro attorno alla Felice e illuminare una piccola porzione di stanza.
Sbattè le ali, senza sollevarsi da terra, e sentì una forza primordiale impossessarsi del suo corpo, scorrere nelle sue vene, darle forza.
Era pronta.
Ad Alba era stata data una seconda possibilità.
 
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